Tutti conosciamo gli asparagi, verdi o bianchi, che acquistiamo di solito. Forse non tutti sanno che, qui in Romagna, cresce un’altra qualità di asparagi. L’asparagina, in dialetto romagnolo conosciuta come sparaz, sparz oppure sparazena: un prodotto selvatico di pregio. Inserito da alcuni anni in un programma di recupero, viene coltivato in serra e nei campi, sia per tutelarne la biodiversità, sia per dar modo al consumatore di apprezzarne il gusto.
Si tratta di un ortaggio tipico delle pinete del litorale ravennate, conosciuto fin dall’antichità. Le testimonianze presenti negli scritti di Marziale e Plinio sono i più antichi documenti che ne attestano la quantità e qualità. Una notorietà, quella degli asparagi di Ravenna, che si è protratta nei secoli ed ha finito per caratterizzare il territorio. Perfino la prima edizione della Guida gastronomica d’Italia del Touring Club contiene una citazione in merito.
Fino alla metà del secolo scorso, era raccolto dai cosiddetti “pinaroli”, gente che viveva in case umili all’interno delle pinete, dalle quali traeva la maggior parte del proprio sostentamento.
L’asparago di pineta cresce infatti spontaneamente fra la vegetazione, i turioni sono rossastri o scuri, le foglie inferiori spinose. Ne esistono principalmente di due tipi: il “San Vitale” (Asparagus tenuifolius) fine e dal sapore gentile e il “Bardello” (Asparagus marittimus), rustico e dal gusto pungente.
Dopo la raccolta può essere conservato in ambiente refrigerato per un massimo di due giorni sino al consumo o al conferimento sul mercato. Può comunque essere mantenuto più a lungo mediante la surgelazione o altri metodi di conservazione (ad esempio sott’olio).
In cucina, analogamente a quello comune, l’asparago selvatico può essere lessato e condito con olio e limone oppure utilizzato nella preparazione di condimenti per primi piatti, in frittate e torte salate.
Frittata con gli asparagi di pineta