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Arrostite, crude, bollite, essiccate… è tempo di castagne

Castagne

Castagne di Romagna. Arrostite, crude, bollite, essiccate: le castagne si prestano a molteplici preparazioni in cucina. Si possono degustare da sole o accompagnate a piatti dolci o a salati, fino ad arrivare alla loro trasformazione in un’ottima farina.

Nascoste nel loro riccio, fra le foglie del castagno, sono un frutto del bosco che ci accompagna fin dall’infanzia. È un gioco scovarle ai piedi degli alberi e un divertimento sentirle scoppiettare nelle padelle. La raccolta inizia nel mese di ottobre e a seconda della qualità si protrae fino a fine novembre. La Romagna è ricca di castagneti e quando si vuole andare a “far castagne” fra le mete ci sono i boschi del Santerno, quelli della Valmarecchia, Montefiore Conca e il Montefeltro.

Fanno parte della nostra alimentazione fin dall’antichità, ma si deve ai Romani la loro diffusione capillare in Romagna: le importarono dall’Asia Minore per poi piantare i castagneti da frutto in tutte le terre di conquista. Le castagne venivano poi commerciate in tutto il Mediterraneo ed erano una preziosa merce di scambio. A fine Ottocento conquistarono anche le Americhe grazie ai flussi migratori degli italiani negli Stati Uniti.

Non c’è alcun dubbio che abbiano da sempre nutrito l’uomo e il castagno fu definito l’albero del pane. Contengono il 7% di proteine, il 9% di lipidi e l’84% di carboidrati, sono ricche di fibre e di sali minerali, oltre ad avere un alto valore energetico.

A occhi inesperti possono sembrare tutte uguali, per alcuni cambia forse solo la grandezza, ma non è così. Le varietà sono moltissime, così come quelle dei castagni, e ogni zona d’Italia può vantare la propria tipicità. In Romagna le qualità più diffuse sono: biancherina, carrarese, ceppa, loiola, mascherina, molana, pastinese, pistolese, rossola e salvano.

Quando si parla di castagne le disquisizioni si animano anche sulla distinzione fra castagne e marroni. Innanzitutto è necessario precisare sono il frutto di alberi differenti e sono quindi due varietà molto diverse fra loro. I marroni, che sono diffusi nell’Appennino Tosco-Romagnolo, sono grandi, il riccio contiene due o tre frutti, sono più dolci e profumati e hanno una polpa più fine e una percentuale di zuccheri superiore del 15-20% rispetto alle castagne, che invece mostrano una buccia più spessa e una polpa più strutturata. Sono più piccole e di solito schiacciate da un lato, ideali per essere trasformate in farina.

Per quanto riguarda le denominazioni tipiche la Romagna può vantare un suo marrone Igp, quello di Castel del Rio, località vicino a Imola. Di forma oblunga, la polpa è fine e vellutata ed il sapore dolce e intenso. In cucina viene utilizzato nella preparazione di primi, secondi e dolci. Il marrone di Castel del Rio è l’ingrediente segreto di tagliolini e ravioli, ma è capace di esaltare anche il fagiano o il rotolo di tacchino. I golosi non potranno rinunciare al castagnaccio, al budino o alla meringata.

Oltre ai marroni nelle ricette tradizionali romagnole c’è anche abbondanza di castagne, a partire dalle farine con cui impastare frittelle gustose da sposare a formaggi cremosi, ottime le creme, le vellutate o le minestre con castagne e fagioli. Impossibile resistere alla polenta di farina di castagne con pancetta e salsiccia, servita con formaggio Raviggiolo fino alla crostata o alle marmellate.

Questi piatti sono vere e proprie leccornie e le sagre dedicate sono l’occasione da non lasciarsi sfuggire per assaggiare le tante specialità e fare scorpacciate di caldarroste caldissime da assaporare con un bicchiere di Cagnina.


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