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Fermo biologico nell’Alto Adriatico: un’analisi del provvedimento

Dal 31 luglio 2017, il divieto di pesca nell’Alto Adriatico, tra Trieste e Ancona, entrerà in vigore. Tale restrizione, in atto da anni per promuovere la riproduzione ittica e la ricostituzione degli stock ittici, sarà applicata fino al 28 agosto a San Benedetto del Tronto e Termoli, e fino all’8 ottobre nelle aree più meridionali. Tuttavia, fonti istituzionali confermano che questa sarà l’ultima volta che verrà applicata la formula attuale. Secondo Tonino Giardini, responsabile nazionale di Coldiretti Impresapesca, il sistema attuale si è dimostrato inadeguato. Si auspica pertanto l’adozione, a partire dal 2018, di un approccio più efficace che concili le necessità di ripopolamento con le esigenze economiche del settore. Il divieto non coinvolge tutte le imbarcazioni. Sono interessate solo le attività di pesca a strascico di specie demersali (triglie, sogliole, rombi, ecc.) e la pesca a volante (alici, sardine, ecc.), tecniche dannose per le uova e le fasi larvali. Circa il 50% della flotta regionale resterà quindi nei porti. Le piccole imbarcazioni, dotate di attrezzature statiche (reti da posta, nasse, ecc.), potranno invece continuare a operare, rifornendo i mercati. Pertanto, la disponibilità di pesce fresco nelle pescherie e nei ristoranti non subirà significative variazioni, grazie anche alle forniture provenienti da aree del mare Adriatico non ancora interessate dal fermo e ad un calendario che differenzia le aree di divieto. La diversità temporale del provvedimento nelle diverse zone dell’Adriatico assicura la fornitura continua di prodotto fresco, contribuendo anche alla stabilità dei prezzi. Il pesce dell’Adriatico resterà quindi disponibile, ma si raccomanda di verificare l’etichetta del prodotto per la corretta identificazione dell’area di pesca, come previsto dalla normativa vigente.

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