Nonostante il nome insolito, la salsiccia matta, nota anche come “ciavàr” o “zambudel” nel dialetto locale, è frutto di una tradizione secolare che testimonia una grande abilità artigianale. Nata nell’Appennino romagnolo, questa specialità sfruttava gli scarti meno pregiati della lavorazione del maiale – cuore, lingua, ritagli di gola e testa – un esempio concreto di ingegno contadino che trasformava la necessità in risorsa, soprattutto nelle aree rurali più povere. Seppur simile nell’aspetto ad altre salsicce, la “ciavàr” si distingue per il colore più scuro e per l’utilizzo di una miscela di carni e frattaglie finemente macinate, insaporite con sale, pepe, aglio e un goccio di Sangiovese. Il vino e l’aglio, oltre a conferire un sapore inconfondibile, ammorbidiscono le carni. Apprezzata in tutta la Romagna – da Forlì a Rimini – questa prelibatezza, ben lontana dalla classica salsiccia, ha ottenuto il prestigioso riconoscimento del Presidio Slow Food. Il gusto intenso, leggermente piccante e “matto” si esalta in cottura alla griglia, armonizzandosi perfettamente con vini rossi corposi come il Sangiovese. Purtroppo, la vera “ciavàr”, preparata secondo la ricetta tradizionale, è oggi un prodotto raro, reperibile in alcuni paesi dell’Appennino romagnolo e tosco-romagnolo, presso selezionati artigiani locali (per alcuni contatti, si consulti il sito http://www.sarsinaturismo.it/-/salsicciamatta_prodotti-tipici). È auspicabile che questa delizia, espressione del carattere creativo e tenace della gente di Romagna, continui a essere apprezzata e tutelata.
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