Tradizioni romagnole di fine anno: usanze e superstizioni

Tradizioni romagnole di fine anno: usanze e superstizioni

Le festività di fine anno in Romagna non hanno sempre coinciso con i grandi cenoni moderni. La diffusione di brindisi e banchetti sontuosi di San Silvestro è un fenomeno relativamente recente, affermatosi solo nella seconda metà del XX secolo. In precedenza, l’ultima notte dell’anno si trascorreva in famiglia, tra narrazioni e giochi volti a predire la fortuna dell’anno nuovo. Le vere tradizioni, invece, si concentravano sul 1° gennaio, e alcune permangono ancora oggi, soprattutto nelle aree rurali, sotto forma di superstizioni. Un’usanza consolidata prevedeva che gli uomini, soprattutto i bambini, andassero di casa in casa per gli auguri, raccogliendo piccoli doni. Questo rito, fortemente ancorato alla tradizione maschile, mirava ad evitare la sfortuna associata a ricevere gli auguri da una donna per prima, indipendentemente dalla sua età. Nonostante il suo carattere marcatamente patriarcale, questa pratica godeva dell’approvazione femminile ed è ancora praticata da alcuni anziani. Inoltre, per attrarre fortuna e ricchezza, era consuetudine consumare, possibilmente a digiuno, alcuni acini d’uva bianca il giorno di Capodanno. Come riportato dallo studioso Eraldo Baldini, citando Giovanni Bagnaresi (1928), esisteva una precisa ricetta per la prosperità: l’uva, per essere efficace, doveva essere regalata e consumati almeno sette acini. Secondo la tradizione, il pranzo di Capodanno doveva escludere le mele per evitare problemi di salute durante l’anno. Auguriamo quindi ai nostri lettori una tavola ricca di uva! Iscriviti alla nostra newsletter per rimanere aggiornato su ricette, eventi e manifestazioni!